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Piante officinali
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Corylus avellana L.- Nocciolo.

Betulaceae

Corylus avellana L.
Sinonimi: C. silvestris Salisb.

Nomi volgari: Nocciolo, Avellano, Nocchio, Acciardello

Morfologia: Arbusto alto 3-4 metri, ma talvolta anche alberetto alto fino a 10 metri, con ramificazione alta.
Foglie alterne tondeggianti, acuminate all’apice, con margine a doppia dentatura e nervature pennate ben evidenti, provviste di peluria nella pagina inferiore. Il colore è verde intenso nella pagina superiore, un po’ ruvida, mentre è più chiaro ed opaco nella inferiore. Il picciolo è breve e tomentoso.
Fiori maschili in amenti penduli, di color giallastro, ricchi di polline a diffusione anemofila. Fiori femminili presenti sulla stessa pianta poco appariscenti, a forma di gemma, provvisti di un breve ciuffetto di stimmi color rosso vivo.
Frutti: sono notissimi (nocciole); si tratta di grossi acheni racchiusi in un pericarpo legnoso di colore marroncino, eduli. Sono circondati quasi interamente da un involucro fogliaceo, dentato o irregolarmente frastagliato.

Distribuzione – Habitat – Fioritura: E’ comune nell’Europa centro-meridionale e in Asia minore. E’ una specie altamente plastica, adatta a vegetare in climi molto diversi e senza particolari esigenze di suolo. Può essere considerata sia specie colonizzatrice di terreni incolti e di pascoli abbandonati, sia arbusto di sottobosco associato, particolarmente in radure ed aree marginali, ad altre specie arboree, latifoglie o aghifoglie, dalla pianura alla montagna.

La fioritura è precoce (inverno) e precede la fogliazione.

Note: Il Corylus avellana presenta numerose varietà coltivate sia a scopo frutticolo che ornamentale. Tra le prime, in coltura agraria per produzione di frutti di grosse dimensioni, si possono ricordare C. maxima e C. colurna; tra le seconde le varietà a fogliame rosso o dorato (var. fusco-rubra Dipp., var. aurea Kirchn.) e quelle a portamento piangente (var. pendula Dipp.) o a rami contorti (var. contorta Bean.)

Note tipologiche e fitosociologiche:*Il nocciolo è da considerarsi una specie ubiquitaria ad elevata capacità ricolonizzatrice di zone abbandonate dall’attività agro-pastorale. Questa dote dipende dalla sua ampia diffusione, favorita sia dall’azione umana sia dall’opera disseminatrice di uccelli e piccolissimi mammiferi che si nutrono dei suoi frutti. I suoi semi, dotati di buona facoltà germinativa, sono in grado di attecchire praticamente in tutte le condizioni, occupando in pochi anni superfici naturali non boscate e aprendo così la strada a boschi di neoformazione costituiti da specie diverse.
Solitamente il nocciolo partecipa ai processi di ricolonizzazione forestale nelle fasi iniziali, per cedere poi il passo, dopo periodi più o meno lunghi, secondo la fertilità stazionale e la capacità concorrenziale, alle altre specie edificatrici del bosco che entrano caso per caso nel processo evolutivo. Si possono distinguere tre situazioni.
1. Cenosi effimere, ossia di breve durata (dai 30 ai 50 anni circa), definibili corileti mesotermi, che si sviluppano soprattutto nell’area potenziale dei carpineti e degli aceri frassineti, con accompagnamento nello strato arbustivo di Crataegus monogyna, Rosa canina, Rubus sp. e in quello erbaceo di Galanthus nivalis, Vinca minor, Asarum europaeum, Circaea intermedia, Allium ursinum e con abbondante Clematis vitalba. Quando ai margini dell’area da ricolonizzare è presente il carpino bianco e a volte il tiglio (zone pianeggianti) si formerà col tempo un carpineto (con anche un po’ di tiglio) più o meno ricco in nocciolo, che resterà subordinato. Qualora invece siano presenti acero montano e frassino maggiore (forre o versanti su substrati flyscioidi) il nocciolo, primo colonizzatore, verrà in alcuni decenni soppiantato dalla rigogliosa affermazione delle due specie arboree, fino a regredire.
2. Cenosi labili, denominabili corileti macrotermi, che si formano nell’area potenziale degli orno-ostrieti e delle faggete submontane, nei versanti soleggiati tra i 600 e i 1200 m, su ex prati falciati ora abbandonati, con accompagnamento di Juniperus communis e Rosa canina e con Geranium sanguineum, Clematis recta, Trifolium rubens . Sono formazioni rade che si sviluppano in tempi più lunghi (oltre 50-60 anni), per una certa povertà dei suoli, per lo più calcarei, poco favorevoli all’attecchimento e alla crescita delle specie ricolonizzatrici che accompagnano, e in seguito soppiantano, il nocciolo: carpino nero, orniello, talora anche carpino bianco. Lo stadio finale sarà un orno-ostrieto tipico, comunque sempre con presenza di nocciolo.
3. Cenosi durevoli, nell’area potenziale delle faggete submontane interessate o dal passaggio del fuoco o da eccesso di pascolamento. Qui il nocciolo e insieme il farinaccio trovano facile affermazione grazie alla capacità di ricaccio pollonifero dopo l’incendio ed alla precoce fruttificazione. In queste situazioni il corileto permane nel tempo, anche molto a lungo, al più con la compresenza minoritaria del faggio. In tali condizioni è inopportuno intervenire per tentare di estirpare il nocciolo. Sono altresì sconsigliabili inserimenti artificiali di altre specie, (soprattutto abete rosso), con l’eccezione di faggio e abete bianco, in grado di tollerare la copertura e di potersi affermare in tempi lunghi. Laddove si riscontra la presenza di nocciolo nel sottobosco di peccete, questa è un sicuro indice di diffusione della conifera al di fuori delle sue stazioni e, dopo il taglio definitivo dell’abete rosso, tenacemente si protrarrà.


Bibliografia: Le presenti note sono tratte dal volume, edito dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, “La vegetazione forestale e la selvicoltura nella Regione Friuli-Venezia Giulia”- AA.VV., a cura di Roberto Del Favero, inquadramento fitosociologico di Livio Poldini. – Udine 1998